In tempo di pandemia, ci è stato chiesto, per tutelare la salute nostra e degli altri, di ridurre drasticamente la nostra libertà, di barattarla con la sicurezza. In nome della pura vita abbiamo rinunciato alla libertà, ai diritti, alla Costituzione, con il rischio di perdere la nostra umanità. Come possiamo restare umani?
In un libro scritto negli anni ’60 dalla filosofa pratica, nonché nota politologa Hannah Arendt, dal titolo “Tra passato e futuro”, notevole ancor oggi per la sua attualità, viene tracciato un excursus che riguarda la crisi in vari settori dell’agire umano: l’autorità, la libertà e l’istruzione. Crisi determinata da una paralisi o dalla lacuna dell’agire umano, che ha il potere di interrompere il solco tracciato.
Sessanta anni dopo, lo scenario è simile. Stiamo correndo il rischio della barbarie, della dittatura, l’emergenza è diventata un’arte di governo e, giorno dopo giorno, si sta trasformando il politicamente inaccettabile, in inevitabile.
Pensiamo al periodo della Pandemia, in pochi mesi siamo stati catapultati in un cambiamento epocale: non siamo più stati liberi di muoverci, eravamo costantemente controllati, abbiamo trasformato le abitudini, il modo di stare in rapporto con gli altri, cambiamenti che ancora in parte permangono. Dovevamo stare a distanza, meglio se intrattenevamo rapporti virtuali, le uscite erano ridotte e legate a motivi necessari e certo la cultura non lo era. I bambini non potevano più giocare o, meglio, potevano farlo in alcuni contesti e non in altri (trovandosi in una situazione di schizofrenia progressiva). La paura aveva preso il sopravvento e, per restare vivi, abbiamo rischiato e ancora rischiamo di perdere la nostra umanità, in quanto alcuni cambiamenti, legati a quel periodo così particolare, continuano a permanere.
Il risvolto positivo di tutto ciò che è accaduto e in modo forse meno eclatante continua ad accadere, è il fatto che ci costringe ad aprire gli occhi e obbliga a capire che qualcosa, e più di qualcosa, non va. Sicuramente che sul terreno lasciato da tanta devastazione, è indispensabile un ripensamento collettivo dei rapporti umani, dell’economia di mercato, del ruolo della politica, del rapporto con la religione, del senso della responsabilità personale, delle cose importanti della vita.
Si tratta di cambiare pelle, di provare a guardare da un’altra parte rispetto a quella che giornalmente i mass media ci indicano.
Quello che abbiamo vissuto durante la pandemia, per alcuni ha stimolato un risveglio che li ha portati a scegliere tra i valori del neoliberismo, continuamente riaffermati e rafforzati e i valori mediterranei che ci hanno sempre caratterizzato, tra il transumanesimo e una nuova umanità. Ma per nutrire questa nuova umanità dobbiamo avere il coraggio di prendere posizione, con forza e determinazione, riprendere in mano la nostra identità. D’altronde la nostra Costituzione parla di uno Stato che si occupa del pieno sviluppo dell’essere umano e si preoccupa di rimuovere gli ostacoli che possono impedirlo. Ritornare quindi alla Costituzione diventa per noi rivoluzionario.
La rivoluzione a cui si allude è insieme una rivoluzione spirituale, comunitaria e culturale. E l’Italia può essere un faro per l’umanità, a partire dalla sua tradizione.
Si tratta di superare l’alienazione da sé, perché se non sai chi sei non puoi essere libero, accettare i limiti nostri e degli altri, unire le forze, cercare il senso della nostra vita e delle nostre azioni, non agire in modo “irriflesso”, ma ricercare e trovare il proprio posto nel mondo, la piena realizzazione spirituale, che apre la possibilità di sperimentare pace e benessere. Non liberi di realizzare ciò che si vuole, come ci indica l’etica attuale, un’etica dell’assenza del limite, piuttosto liberi di realizzare pienamente se stessi. Una posizione da cui si diventa creativi, generosi, contributivi nella società, capaci di assumersi la responsabilità non solo della propria vita, ma anche di quella degli altri e delle generazioni future.
Cercare il senso: di solito ci mettiamo in ricerca partendo da una condizione critica, anche se bisognerebbe essere sempre in ricerca, ma spesso lo si capisce dopo diverse crisi.
Non restare solo vivi, ma restare umani: trattarsi bene, avere cura del corpo e dello spirito. Avere cura dei nostri stati interiori, darci il tempo per rilassarci. Spesso siamo tesi e la tensione non è altro che un dispendio di energia. Non organizzare la vita come un massacro, non affastellare impegni, darsi tempo, non rinviare la pace dentro e fuori di noi.
Anche la psicoimmunologia ci dice che malattia e guarigione non sono il meccanico prodotto dell’attività di un singolo apparato anatomo-fisiologico, ma il frutto di un sottile gioco di influenze reciproche tra sistema immunitario, sistema nervoso e stress psicologico.
In un organismo sano ogni parte del sistema immunitario svolge il suo compito con incomparabile efficienza. La sanità di cui parliamo ha a che fare anche con influenze sottili come l’umore, i sentimenti, gli stati della mente, il comportamento, gli atteggiamenti e i meccanismi di adattamento.
In un momento storico in cui la libertà di agire è ristretta, anche ora che la pandemia sembra alle spalle e l’apertura al mondo è fortemente in crisi, Hannah Arendt ci conduce a indagare il senso dell’agire umano, in cui si colloca l’esperienza della libertà e la forza dei miracoli di cui esso è portatore. Agire significa infatti dare avvio a qualcosa di nuovo, avviare dei processi, svilupparsi pienamente secondo i talenti e le capacità di ognuno. L’agire spezza l’automatismo delle cose e diventa “miracolo”, qualcosa di imprevedibile.
E gli uomini hanno il dono della libertà e la capacità di agire per fondare una nuova realtà.
Si tratta di prendere l’iniziativa, affinché la libertà che ci compete si concretizzi: la libertà di scelta tra bene e male, tra distruzione ed edificazione, tra isolamento e comunicazione, progressismo e innovazione, nichilismo e pienezza.
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